Photo: MetEm presse 2009
UMBERTO ECO SOFIA 2014
Ouverture du Congrès
“La Nouvelle Sémiotique, entre tradition et
innovation”
Come è avvenuto il primo congresso della IASS/AIS nel 1974?
L’organizzatore, ero tutto io e la mia segretaria.
L’idea era nata quando c’era stata la fondazione dell’associazione di semiotica a Parigi, c’era stato un primo,
anzi un secondo incontro a Varsavia, ma era subito dopo l’invasione della Cecoslovacchia.
È stato fatto questo incontro a Parigi e c’erano Jakobson, Benveniste, Greimas…io credo di essere l’unico…no io e
Kristeva siamo gli unici due sopravvissuti di quella riunione.
E lì si è lanciata l’idea che si doveva fare un convegno. Poi c’è stata un’ultima riunione a Parma perché l’editore
Franco Maria Ricci aveva voluto invitare tutti…sono state fatte le ultime elezioni. È stato eletto presidente Cesare Segre e io segretario - che non ne avevo nessuna voglia - ma Jakobson ha
insistito e disse: partite per il congresso!
Dunque questa riunione è stata nel…la cosa a Varsavia era stata il ‘68 poi la riunione…La riunione è stata nel ’71
o ‘72 e abbiamo cominciato a cercare i soldi per il congresso. E ci hanno dato molte delusioni. Doveva essere un’organizzazione di Genova. Poi invece Genova non lo ha fatto etc etc
Poi finalmente l’istituto Gemelli a Milano ha messo un po’ di fondi, ci hanno dato una sala, c’è stato un piccolo
aiuto privato. Ma poca roba. Avevamo avuto per l’epoca 20 milioni per pagare tutto. 20 milioni non erano niente. 20 milioni di lire (10000 euro)
Solo pagare un viaggio dall’America e lì partiva già almeno un milione. Bisognava pagare Jakobson, Sebeok, tutta
sta gente. Insomma ce l’abbiamo fatta. Solo che non pensavamo affatto che venisse tutta quella gente.
Ce n’erano molti partecipanti?
Noi pensavamo così un 200-300 iscrizioni, sono arrivate 800-900 persone.
Ed è arrivata della gente importantissima che io non avevo invitato.
Tipo Lacan... Non era venuto in mente di invitare Lacan perché non era proprio un semiologo.
E la sera prima dell’apertura è stato fatto un party a casa mia dove abbiamo visto della gente che credevamo fosse
morta da vent’anni: Buyssens, David Efron, quello che aveva studiato la gestualità. Noi gli abbiamo scritto ed erano venuti e quindi c’erano tutti, tutti! Mi ricordo che la mia segretaria aveva
gli occhi spalancanti perché diceva, sono due anni che leggo solo dei nomi, ora li vedo qui e scopro che sono veri e che esistono davvero. E la cosa era stata organizzata bene, in modo che dopo
la sessione d’apertura iniziavano le varie sessioni separate. E a un certo punto mi sono trovato seduto sui gradini di una scala che non avevo più niente da fare perché ciascuno era al proprio
posto. Ogni sessione aveva il suo direttore, avevo capito che la cosa era andata bene.
Quale è il valore aggiunto di un congresso mondiale?
Per il primo, bisognava proprio addirittura scoprire in che senso molta gente si interessava di semiotica. Ci è arrivato lì,
inatteso, Paul Watzlawick, quello della scuola di Palo Alto. Era venuto e lì abbiamo capito che anche quel tipo di ricerche potevano avere un coté semiotico.
Infatti se guarda gli atti del congresso ci sono proprio varie sezioni, e lì si è disegnato un po’ quello che io ho
sempre sostenuto, e sostengo sempre di più, mentre molti dei miei colleghi no, che la semiotica non è una disciplina. È piuttosto, dovesse essere un’organizzazione universitaria, una
facoltà.
Io faccio l’esempio di medicina. Cosa c’è in comune tra la dietetica e la cancerologia, e la tisiologia e la
gastroenterologia, sono tecniche e hanno una cosa in comune: la salute del corpo umano.
Non solo, tra varie sezioni, tra un cancerologo e dentista c’è un abisso, ma anche all’interno di una stessa specialità ci sono le scuole diverse. Questo io l’ho scritto anche nella prefazione di
semiotica e filosofia del linguaggio: c’è una semiotica generale che, per me, non per tanti altri, è ancora una disciplina filosofica di fondazione della semiosi, del segno. Va be’ io sono legato
a Peirce… E poi ci sono le semiotiche specifiche che possono essere anche molto diverse l’una dall’altra anche se all’inizio, per esempio nel momento dell’enfasi strutturalista si pensava di
trovare categorie generali che funzionassero…Si cercavano le articolazioni non solo nella lingua ma anche nel cinema… Abbiamo commesso anche tanti atti di ingenuità… era proprio il pensiero di
poter trovare delle categorie generali… E non è così, perché più la semiotica va a distribuirsi in vari settori più scopre degli universi che hanno le proprie leggi. Ci dovrebbe essere a dominare
tutte queste specialità quella che io chiamo la semiotica generale. Che poi è quella che ho praticato io. Nel senso sì, all’inizio mi sono occupato di cinema, di arti visive, ma poi ho lasciato
che lo facessero altri, specializzati, e che si specializzassero in quelle cose lì. Io mi sono limitato, specie nelle ultime opere, a problemi di teoria generale.
Oggi secondo me sono pochi quelli che fanno teoria generale e molti quelli che fanno non so, sociosemiotica etc…che
va anche bene, ma se si va a vedere il programma del congresso di semiotica di Berkeley del 94 c’era un numero di discipline incredibili che andavano persino alla vita dopo la morte. Lì si era
addirittura, secondo me, esagerato però quello che io continuo a credere è che quello che all’inizio dagli analitici era stato chiamato linguistic turn della nostra epoca è stato di
fatto il semiotic turn. Tutte le discipline, non solo quelle umanistiche, ma pensi anche alla genetica…codice genetico, il DNA… si sono molto orientate sul problema semiotico. Tanto è
vero abbiamo avuto un convegno nel 81-82 a Lucca dove sono stati gli immunologi che hanno voluto vedersi con i semiologi per trovare dei punti in comune. Lì c’era proprio un problema. Là dove
loro credevano di vedere della semiosi, per me c’erano sempre e soltanto ancora degli stimulus response.
All’epoca la semiotica era di moda. Poi come si è sviluppata?
Si però poi ci sono stati altri fenomeni. Mentre in Italia, in Germania, la semiotica ha continuato a svilupparsi,
i francesi, a un certo punto ciascuno per invida dell’altro dicevano: io non faccio più semiotica…, faccio psicanalisi, diceva Kristeva, Todorov ha fatto della storia della cultura e altre cose
bellissime. E chi ha preso un po’, come dire, il comando della semiotica è stata la scuola greimasiana. E basta. Almeno a Parigi. Poi se si va a vedere in una università periferiche si vede che
c’è della gente che fa della semiotica senza essere necessariamente dei greimasiani. Però quelli che pretendono che ci sia una semiotica unica scientifica sono i greimasiani.
Negli Stati uniti c’è stato, diciamo, l’urto con la filosofia analitica. Che noti bene, in gran parte può essere
intesa come una interessante forma di semiotica. Specie se si va avanti con i suoi critici come Rorty, Abbiamo fatto tanti convegni insieme. Ma in America ci sono le parole magiche. Semiotica non
vendeva bene, poi alcune università come la Brown University hanno cominciato a fare il dottorato di semiotica ma a quel punto sono diventati di moda i cultural studies. Noti bene uno
che fa della sociosemiotica fa dei cultural studies ma hanno cambiato il nome del dottorato e la semiotica l’han chiamata cultural studies. Lì funzionano degli
shibboleth delle parole d’ordine, vorrei dire, commerciali. E quindi l’America è un caso a sé.
Sa che il paese con maggior numero di partecipanti è il Brasile!
Ma, il sud America ha sempre continuato, in particolare i brasiliani se ne sono occupati molto. I brasiliani si
stavano occupando di Peirce prima che nascesse tutto il problema della semiotica in Europa. Tutti poeti Noigandre: Haroldo De Campos, Augusto De Campos, Décio Pignatari negli anni ‘50 studiavano
Peirce. Naturalmente si erano sbagliati perché lo studiavano sui libri di Max Bense che non ha mai capito Peirce, ma pazienza.
Quale sarebbe la tradizione semiotica?
Tradizione è non buttare via …qualcuno dei miei amici che ha cominciato a dire “non buttiamo via Saussure”. Non
buttiamo via quelli da cui siamo partiti. Per un certo punto la semiotica è sembrata tutta strutturalista, e sembrava che strutturalismo e semiotica fossero la stessa cosa, e non era vero. A un
certo punto è stato buttato a mare lo strutturalismo, ma non bisognava buttare via tutto.
Come vede l’innovazione semiotica?
Innovazione, intendiamoci. Mentre nelle scienze dure c’è un senso enorme della continuità, io dico qualcosa solo
sulla base di quello che ha detto lo scienziato precedente, e sviluppo, provo, disprovo etc. e mentre la filosofia analitica ha cercato di imitare questo atteggiamento delle scienze dure, c’è un
corpus molto preciso, ciascuno fa un articolino piccolo partendo da un articolo precedente di un altro.
In genere nelle humanities c’è un mito delle novità a tutti i costi. I
francesi in questo senso sono maestri. Io mi faccio notare solo se dico il contrario di quello che hanno detto prima. Se questa è l’innovazione allora è un procedimento dannoso. Addirittura
capovolgendo il senso delle parole. Non so, Baudrillard che chiama seduzione quello che per gli altri non è seduzione. Questo tentativo di essere sempre come diceva Maritain
Les chevaliers de l'absolu. Eh no, ecco perché dicevo prima tradizione e innovazione. Non bisogna a tutti costi far finta di dire il contrario. Forse
è anche un vizio hegeliano. Si nega quello che è stato detto per andare avanti.
E innovazione in senso positivo?
Una parte del mio gruppo ha cercato di fondere negli anni 90 e 2000 la semiotica con le scienze cognitive, ed ecco
che all’università di San Marino, che abbiamo fondato noi…sono stati fatti una ventina di convegni molto interessanti a cui sono venuti tutti i più grandi studiosi di cognitive science c’è stato
uno sviluppo di rapporti. Io credo che mentre la primissima semiotica era ancora vittima di un dogma che pesava su tutta la filosofia, “della mente non si può parlare”… quindi o si parla del
comportamento o si parla di… (non so cosa). Dopo le scienze cognitive si è capito che bisogna parlare anche della mente.
Io insisto sempre a ricordare una cosa: Adriano Olivetti, che era un grande uomo, assumeva nella sua azienda quando
era indispensabile gli ingegneri perché ne aveva bisogno. Però se possibile gente che aveva dato una tesi in filologia greca o di filosofia, poi li mandava 6 mesi in fabbrica per capire cosa
succedeva. Ma sapeva che uno che aveva fatto studi umanistici aveva la mente più aperta all’innovazione.
Su che cosa lavora adesso?
Io sono sempre stato dell’idea e l’ho sempre detto: dopo i 50 anni uno deve occuparsi solo dei poeti elisabettiani
(ride). Le cose nuove deve lasciarle fare ai giovani. Invece lui sa come si studiano i poeti elisabettiani. Io non è che ho studiato i poeti elisabettiani ma mi sono un po’ in parte ritirato su
studi storici. Non so se ha visto quel volumone sulla storia del pensiero medioevale.
E adesso sto riunendo tutti i miei scritti semiotici. Verranno fuori circa tremila pagine. Adesso sono tutti nelle
mani di una persona che deve semplicemente unificare la bibliografia. Ma senza toccare i vari testi. Unificarli e metterli a posto. Verranno fuori due volumi in cofanetto. E così, un’offerta
funebre da portare nella piramide per il faraone che muore.
E poi sa, io ho una strana linea della vita, che si interrompe a metà come se dovessi morire a 50 anni e poi però
continua così. E cosa è successo a metà della mia vita, ho iniziato a scrivere i romanzi. Quindi c’è una vita parallela.
Ha preso l’altra strada, forse quella più gratificante…
Bè, quella più divertente. Adesso ce n’è uno nuovo. È già scritto. È una rappresentazione grottesca del
giornalismo. […] È la storia di un giornale che volendo può sembrare un po’ berlusconiano, anche se si svolge nel ‘92 prima che Berlusconi entrasse in politica.
Cosa possiamo aspettarci, cosa si ottiene da un congresso?
Cosa si ottiene da un congresso lo si sa solo dopo. Quando abbiamo preparato il congresso del ‘74 non ci
aspettavamo ci sarebbe stata quella disseminazione che c’è stata. Forse sarebbe bastato qualche piccolo errore di comunicazione, e venivano solo 100 persone e nessuno parlava più della semiotica.
Quello che succede dopo un congresso e che esso non emana un documento finale dogmatico. Elabora degli atti. E negli atti si può trovare quello che si trova. Dipende da qual è la ricchezza e la
novità degli atti.
Cosa augurerebbe ai partecipanti?
Cosa auguro ai semiotici: difendete la carta. Difendete la carta. Non studiate solo online.
Perché ci sarà il grande blackout, tutto scomparirà e solo i vostri
libri rimarranno.